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Parks and natural reserves

Decima Malafede Natural Reserve

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Fa parte dell'itinerario storico di: La Via Severiana

LA RISERVA
Estensione: 6.145 ettari
Sede: c/o RomaNatura, Villa Mazzanti, Via Gomenizza 81- 00195 Roma
Telefono: 06 35405350
Sito web: www.romanatura.roma.it
Accessi: Via Valle di Perna, da Via Pontina (ingresso principale), Via C. Tartufari, da Via Pontina, Via Casali della Caccia, da Via di Trigoria, Via di Castel Romano, Via Pratica di mare, angolo Via Campo Ascolano

Tra le aree naturali protette regionali gestite da RomaNatura, la riserva di Decima-Malafede rappresenta quella con la maggiore estensione (oltre 6.000 ettari) e riveste un rilevante interesse per gli aspetti agricoli e naturalistici, che ancora oggi presentano le caratteristiche tipiche della Campagna Romana. Ampi spazi rurali, punteggiati da strutture fortificate medievali, si alternano a zone densamente boscate, in un paesaggio collinare interrotto da valli incise dal sistema dei fossi, costituito dal fosso di Malafede, dal fosso di Trigoria e dai loro affluenti. Oltretutto, la prossimità con la Tenuta Presidenziale di Castelporziano garantisce un collegamento importante per la funzionalità dei processi ecologici: piante ed animali qui sono meno isolati che altrove – la frammentazione ambientale è una delle cause principali della perdita di biodiversità, soprattutto in ambito urbano e periurbano – e l’elevata urbanizzazione è meno soffocante. Non sorprende dunque di trovare qui molti dei primati dei parchi di Roma: i boschi più grandi dell’Agro Romano (tra cui la magnifica sughereta di Vallerano e la Macchiagrande di Trigoria), l’unico nucleo di daini (provenienti da Castelporziano), le manifestazioni vulcaniche più eclatanti (la Zolforata di Pomezia con le acque dai colori insoliti e accesi per la presenza di solfobatteri), gli scorci agresti più ampi e genuini. È quello che rimane dell’antica Selva Laurentina. E infine non possiamo dimenticare la “Macchia di Capocotta” il più suggestivo tra i boschi della riserva, oltre 150 ettari di querce che dominano un sottobosco fitto e intricato in cui si muovono con estrema disinvoltura daini, donnole, martore e volpi. All’interno della Rete Ecologica di Roma la riserva, che si sviluppa subito fuori del GRA, si colloca in un territorio strategico del settore meridionale della città, venendo a rappresentare il collegamento ecologico tra le aree verdi del Laurentino-Acqua Acetosa e del Divino Amore con la Tenuta Presidenziale di Castel Porziano e con la Riserva Naturale del Litorale Romano, con le quali forma un unico complesso ambientale di estremo interesse per la tutela dell’ecosistema cittadino.

IL TERRITORIO
Nel tipico paesaggio della Campagna Romana, fatto di ripiani tufacei alternati a stretti fondovalle scavati dal fosso di Malafede e dai suoi affluenti, l’area protetta interessa una vasta porzione di territorio compresa tra la via Pratica di Mare, il Grande Raccordo Anulare e le vie Pontina e Cristoforo Colombo. Qui si trovano le più grandi aree boscate della città: oltre mille ettari di boschi misti di querce, come la Macchia di Capocotta e Macchiagrande di Trigoria. La loro collocazione, a ridosso della Tenuta Presidenziale di Castelporziano, li rende due importanti elementi di continuità con le foreste di alto pregio naturalistico presenti all’interno della Tenuta, garantendo così elevati livelli di biodiversità. Nei versanti esposti a sud, gli alberi dominanti sono le querce sempreverdi come il leccio e la sughera, accompagnate da altre specie tipiche della macchia mediterranea, quali il corbezzolo, la fillirea, il lentisco, l’erica arborea, il viburno, il mirto, il pungitopo, l’alaterno e i cisti. Nei versanti più freschi, in esposizione nord, trovano invece migliori condizioni le specie arboree a foglie caduche come gli aceri campestri, le roverelle, i cerri, i farnetti, gli olmi campestri e gli ornielli. In questi boschi, residui dei boschi umidi di pianura che un tempo dominavano la fascia costiera laziale, è facile trovare raccolte d’acqua temporanee o semi-permanenti, le cosiddette “piscine”.
Altra formazione forestale di notevole importanza, tanto da essere riconosciuta come Sito di Importanza Comunitaria (SIC) della Rete Natura 2000 della UE, è la Sughereta di Castel di Decima, oltre 500 ettari di boschi e campi a graminacee ricchi di specie animali e vegetali. Tra la flora della riserva spicca il contingente delle orchidee, presente con una ventina di varietà, ma sono più di 800 le specie censite nell’intero comprensorio dal WWF. Menzione speciale però la meritano alcuni alberi monumentali come la roverella di Vallerano, il pioppo del Risaro, i lentischi di monte Cicoriaro, le farnie della Selvotta e dei Radicelli la sughera dei Monti della Caccia e soprattutto la grande sughera di Macchiagrande di Trigoria, un albero secolare dalle dimensioni enormi, sicuramente tra le querce più grandi d’Italia. Dal punto di vista faunistico quasi tutta la riserva conserva al suo interno popolamenti piuttosto ricchi, favoriti dalla presenza di un mosaico di ecosistemi che ne garantiscono una elevata biodiversità. Sono presenti, ad esempio, tutte le specie di anfibi segnalate per la provincia di Roma: rospi, rane, raganelle, tritoni popolano tutte le zone umide della riserva ed in particolare i laghetti delle ex-cave della Selcetta e dei Monti della Caccia. Ricco e diversificato è anche il popolamento di rettili con specie di elevato interesse: quali la testuggine palustre europea e la testuggine di Hermann, entrambe inserite nelle liste rosse delle specie minacciate. Alle stesse liste appartengono alcune specie di pesci, come la rovella, il barbo ed il vairone, che popolano parte del ricco sistema di fossi del territorio, il quale alimenta successivamente il Tevere. Ma è sicuramente con gli uccelli che si registra la maggior presenza di specie: i dati disponibili evidenziano la presenza di un centinaio specie, delle quali 70 nidificanti, censite nei differenti biotopi della riserva. L’ambiente che mostra i valori più elevati di presenza di specie ornitiche è sicuramente quello dei coltivi alberati, dove l’alternanza di aree a coltivazioni tradizionali con filari alberati e siepi, garantisce ad un gran numero di uccelli condizioni favorevoli alle proprie esigenze ecologiche. Tra le specie più facilmente osservabili, si segnalano diversi rapaci diurni come il nibbio bruno, la poiana o il più piccolo gheppio. Negli ambienti forestali è il gruppo dei picchi, con il picchio rosso minore, il picchio rosso maggiore e il picchio verde ad essere più frequentemente individuabili, grazie al tipico tamburellare del becco sulle cortecce degli alberi per marcare il territorio e per la ricerca di larve o insetti di cui nutrirsi. Barbagianni, allocco, civetta e assiolo sono invece i rapaci notturni che popolano dopo il tramonto i diversi habitat della riserva. Ben 21 sono le specie di mammiferi che vivono nell’area protetta, tra cui volpi, istrici, tassi, donnole, daini, cinghiali, nonché numerose specie di pipistrelli e, ultimamente, anche lupi. Ed è assai ricco anche il popolamento a invertebrati, che beneficia dell’assenza di pesticidi nelle coltivazioni biologiche dell’area: non a caso, uno dei piccoli spettacoli naturali della riserva è rappresentato dal bagliore di migliaia di lucciole nelle calde notti di giugno. La storia geologica del territorio si svela in alcune cave dismesse che offrono preziosi spaccati dove è possibile osservare la successione quasi completa degli eventi geologici avvenuti nella bassa campagna romana nelle fasi più antiche ed esplosive del Vulcano Laziale. Infine, va ricordato anche il valore paleontologico della riserva: grazie ai resti dei grandi mammiferi del Pleistocene che vi si rinvengono, nonché delle tracce di insediamenti umani risalenti all’età del Ferro, come la necropoli rinvenuta in località Decima, ricca di corredi funerari oggi conservati nel Museo Nazionale Romano. Dell’età romana è noto il ritrovamento, all’interno di una vasta necropoli in località Vallerano, della sepoltura di una giovane donna accompagnata da un prezioso corredo, anche questo esposto al Museo di Palazzo Massimo a Roma. Ma i valori storici che connotano ancora oggi profondamente il paesaggio della riserva sono le strutture fortificate medievali (Castello di Decima, Castel Romano, Torre di Monte di Leva, Torre di Perna) al tempo poste a controllo del territorio e delle strade.

LA VISITA
Com’è naturale, viste le dimensioni della riserva, gli accessi all’area sarebbero parecchi se non fosse per la proprietà privata dei terreni e per la difficile percorribilità delle strade poderali. Così, la visita al grande patrimonio culturale e ambientale di Decima-Malafede viene circoscritta nella gran parte dei casi al sentiero natura di Valle di Perna (siamo nel settore più settentrionale della riserva). Il percorso ha inizio dal parcheggio sottostante la Torre di Perna: Casa del Parco della Riserva e cuore pulsante dell’area. Qui, accanto alla cooperativa sociale, c’è il centro visite del parco, la sede decentrata dei guardiaparco, la fattoria educativa e il punto vendita dell’azienda agricola. Partendo quindi dal parcheggio si prende leggermente in salita subito a sinistra. Si passa vicino a dei ricoveri per il bestiame da allevamento, dove una strada sterrata offre subito il panorama della vallata sottostante con il fosso di Perna; si prosegue superando alcuni prati dove sono collocate arnie per la raccolta del miele. Si scende a margine di un bosco fino alla valle ed al fosso, che si attraversano risalendo su un’altra spalletta boscata fino al margine di un pianoro aperto. Si costeggia a destra il margine superiore del bosco e, dopo circa mezzo chilometro, in corrispondenza di una sella, si attraversa il pianoro dritti in direzione sudovest, e si prosegue ad anello verso sudest lungo il margine opposto del pianoro, fino ad incontrare la grande sughera dei Monti della Caccia, dichiarata albero monumentale. Dopo poche decine di metri si riattraversa lo spazio aperto in direzione nordest fino a ritornare all’inizio dell’anello e quindi, attraverso il bosco, si ritorna al punto di partenza. È un percorso interessante e piacevole che si sviluppa per circa 4,5 chilometri e che prevede un tempo di percorrenza di circa 2 ore.

DUE CURIOSITA’
Il cinghiale
Il Cinghiale (Sus scrofa) è un mammifero artiodattilo, appartenente alla famiglia dei Suidi. Progenitore dei maiali domestici, è uno dei più grossi mammiferi della fauna europea (altezza al garrese 90–95 cm; peso del maschio 80-100 Kg, della femmina 50-70 Kg). Ha una struttura sociale fondata sul nucleo famigliare, composto da una femmina adulta e dai suoi piccoli. Spesso alcune famiglie si uniscono per formare un gruppo più grande costituito in media da una ventina d’individui. I maschi adulti, invece, conducono una vita solitaria e frequentano i gruppi solo per brevi periodi durante la stagione riproduttiva. Trova il cibo grazie al grugno mobile, che termina con un disco cutaneo ruvido ma molto sensibile nel quale si aprono le narici. Naso a terra annusa il sottobosco alla ricerca di ogni tipo di cibo, sia vegetale sia animale. In autunno si nutre volentieri di ghiande e nocciole, mentre per tutto l’anno scava con il muso il terreno alla ricerca di funghi, radici, tuberi e bulbi. La sua dieta è integrata anche da prede animali, dagli anfibi ai piccoli roditori, dai rettili agli insetti e ai vermi. Ma, penetrando all’interno del tessuto urbanizzato, riesce a utilizzare anche altre risorse alimentari, che gradisce particolarmente: i rifiuti organici disponibili, gli avanzi di cibo caduti a terra e, se disponibile, anche il cibo per gatti.

L’acero campestre
L’Acero campestre (Acer campestre), è un albero diffuso in tutto il territorio italiano che può raggiungere i 15-20 metri di altezza, ma che frequentemente si presenta nei boschi misti ad altezze più contenute. Si tratta di una specie a lento accrescimento e di facile individuazione, per via delle caratteristiche foglie a lamina palmata con 3-5 lobi separati da evidenti incisioni. Di particolare impatto è la colorazione delle foglie durante il periodo autunnale, che varia dal giallo al rosso intenso prima della definitiva caduta. Nei mesi di aprile-maggio, contemporaneamente alla comparsa delle nuove foglie, spuntano, su brevi assi eretti, piccoli fiori giallo-verdi, da cui si svilupperanno in seguito i caratteristici frutti. Si tratta di particolari frutti detti disamare, costituiti da due semi forniti ciascuno di una appendice alata di 2-4 cm semitrasparente, disposti tra loro a circa 180 gradi, utili a favorire la dispersione per mezzo del vento. Il loro moto, una volta distaccatesi dalla pianta, ricorda molto quello delle pale dell’elicottero. È grazie a questo accorgimento, che i semi possono essere trasportati dal vento lontano dalla pianta madre e, in condizioni favorevoli, germinare conquistando nuovi spazi. Il legno di questo albero è relativamente tenero e, quindi, di facile lavorazione. In passato si impiegava per vari scopi come per la fabbricazione di attrezzi agricoli, di piccoli oggetti domestici o di bastoni da passeggio; ma il suo utilizzo più nobile è quello della fabbricazione dei violini. Il noto liutaio, Antonio Stradivari, fu il primo ad utilizzarlo per fabbricare il fondo, le fasce laterali e i manici di questi bellissimi strumenti a corda. Il legno è stato da sempre apprezzato anche per la produzione di carbone o come legna da ardere tanto che un vecchio detto romano recitava: “L’Oppio fa il fuoco doppio, l’Orniello fa il fuoco bello”.

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