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Parchi e riserve

Parco Naturale Regionale Bracciano-Martignano

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Fa parte dell'itinerario storico di: La Via Claudia Braccianese

Estensione: 16.700 ettari
Sede: Via Aurelio Saffi, 4/a – 00062 Bracciano (RM)
Telefono: 06 99806261
Sito web: www.parcobracciano.it
Accessi: Anguillara Sabazia: Via Provinciale Vigna di Valle, Via della Mola Vecchia, Trevignano Romano: Via di Polline, Via Sutri, Via Bassano di Sutri, Bracciano: Via del Pianello, Via Circumlacuale, Via Quarto del Lago, Oriolo Romano: Via Borgo Garibaldi, Bassano Romano: Strada Vicinale della Macchia, Manziana: Strada di Mezza Macchia, Via Olmata Tre Cancelli
Il Parco Naturale Regionale di Bracciano Martignano ben rappresenta il tipico paesaggio vulcanico che si estende su gran parte della fascia collinare a nord della Capitale. Si estende per 16.700 ettari sul territorio dei comuni di Roma, Anguillara Sabazia, Trevignano Romano, Manziana, Oriolo Romano, Sutri, Bassano Romano, Campagnano di Roma e Monterosi, a cavallo tra le Province di Roma e Viterbo. All’interno dei confini del parco si trovano due importanti Monumenti Naturali: la “Caldara” di Manziana, piccolo cratere periferico dell’antico Vulcano Sabatino, caratterizzato dalla presenza di acque sulfuree e di boschetti di betulle; e la zona umida delle “Pantane e Lagusiello” di Trevignano, preziosa area di rifugio per gli uccelli acquatici che presenta una ricca vegetazione naturale lungo le sponde. In applicazione delle Direttive Comunitarie “Habitat” e “Uccelli”, nell’area protetta sono stati designati anche due Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e una Zona di Protezione Speciale (ZPS) della Rete Natura 2000.

IL TERRITORIO
Il territorio del Parco, risultato dell’attività del Distretto Vulcanico Sabatino iniziata circa 600.000 anni fa, è caratterizzato da un paesaggio collinare e dalla presenza dei laghi di Bracciano (che con i suoi 5.670 ettari è l’ottavo lago italiano) e di Martignano (230 ettari), che conferiscono all’area unicità sia dal punto di vista ambientale che storico. I due laghi coprono circa un terzo della superficie totale dell’area protetta determinando la presenza di un patrimonio naturale eccezionalmente diversificato dagli aspetti insoliti nel contesto geografico a nord di Roma. In prossimità delle sponde o sotto le acque dei laghi sono stati rinvenuti numerosi reperti di insediamenti umani di età neolitica a testimonianza dell’antichissimo stretto rapporto uomo-lago, proseguito poi, nei secoli successivi, con gli Etruschi e i Romani. Legate al fenomeno medievale dell’incastellamento (XII secolo) sono i castelli di Bracciano, Trevignano e Anguillara. Il parco presenta una notevole varietà ambientale: da un lato legata alla ricchezza e varietà dei grandi ecosistemi d’acqua dolce, dall’altro alla presenza di una successione vegetazionale pressoché completa, che dalla macchia mediterranea si spinge sino alla faggeta, passando attraverso querceti termofili di roverella, cerrete e castagneti. Lungo le rive dei laghi, nei limitati tratti con profondità modesta, in genere situati nelle anse più accentuate (Trevignano, Marmotta presso Anguillara, Vigna di Valle), il livello dell’acqua permette l’insediarsi di ecosistemi ripari più differenziati, con giuncheti, fragmiteti e boschetti ripari di salice bianco ed ontano nero. Le aree più estese, caratterizzate dalla tradizionale dominanza del leccio, si affermano per lo più su pendii molto ripidi, talvolta anche rocciosi, come nell’area di Trevignano e sul poggio Le Forche, sulle colline che dominano il versante occidentale del lago di Bracciano. I boschetti di leccio a tratti sono interrotti da piccoli gruppi di caducifoglie arboree costituiti da roverella, carpino nero, orniello, olmo campestre e bagolaro. Il cerro è la quercia più diffusa nell’area e rappresenta la componente costitutiva principale di estese superfici boschive governate a ceduo, che fanno da sfondo alle sponde settentrionali e occidentali del lago di Bracciano. Ma la pianta arborea di gran lunga più diffusa nell’area, che costituisce ormai uno dei segni tipici del paesaggio del rilievo vulcanico del Lazio, è certamente il castagno, probabilmente introdotta in epoca romana o addirittura precedente, proveniente dall’Asia Minore ed oggi ormai naturalizzata nel nostro territorio. Alle quote più alte si afferma il faggio, che domina tutte le aree più fresche e piovose con esposizione settentrionale. La faggeta di Oriolo e quella di Monte Termine presentano lembi di alto fusto di spettacolare bellezza, con alberi di grandi dimensioni ed altezze che sfiorano i 30 m. Faggi isolati si trovano in questa area anche a quote di 300 m, tra le più basse registrate per questa pianta in Italia. Nel sottobosco della faggeta, del cerreto e spesso anche lungo i margini delle particelle di castagno governate a ceduo, si trova l’agrifoglio, pianta protetta rara e localizzata nel Lazio, particolarmente diffusa in questi rilievi collinari. Non mancano però aree invase da fitta boscaglia di prugnolo, biancospino, corniolo e ginestra. Quanto agli animali occorre sottolineare come i laghi costituiscano sul piano faunistico l’elemento maggiormente caratterizzante, con presenze invernali di migliaia di uccelli acquatici. Le specie acquatiche più significative sono certamente la folaga, l’airone cenerino, la garzetta, il moriglione, il fischione che sverna e si alimenta sui grandi prati di Martignano, lo svasso maggiore, che il lago ospita nel numero più elevato nella nostra regione ed infine lo svasso piccolo ed il cormorano che si tuffa all’inseguimento di grandi pesci e sosta su alberi e pali per far asciugare le grandi ali nere. Da ricordare anche il cigno reale che, introdotto nel passato dall’uomo, si è ormai naturalizzato nell’area e costruisce i suoi grandi nidi lungo le rive del lago, nelle zone più tranquille e riparate. Non possiamo dimenticare infine i rapaci, che pur non nidificando sulle rive del lago lo frequentano con assiduità: il nibbio bruno, che caccia pesci, durante il periodo estivo, il falco di palude e le albanelle. Tra i rapaci notturni sono frequenti la civetta e l’allocco, meno l’assiolo ed il barbagianni. Anche i boschi ospitano numerose specie di uccelli, alcune delle quali sono incluse in liste rosse, come il picchio rosso minore, il picchio verde, l’upupa, il rigogolo. I mammiferi sono rappresentati da alcuni elementi significativi, quali il gatto selvatico, la lepre italica e, ultimamente, anche il lupo; nei boschi sono presenti specie tipiche quali il ghiro, il moscardino, la martora, la puzzola e il tasso. Tra le specie più comuni, infine, ricordiamo il cinghiale, la volpe, l’istrice e il riccio. Di grande interesse il popolamento dei pipistrelli rappresentati da ben 12 specie, molte delle quali classificate come minacciate o vulnerabili in ambito europeo. Ben rappresentata l’erpetofauna, di cui ricordiamo l’ululone dal ventre giallo, la salamandrina dagli occhiali, la rana appenninica, la testuggine palustre europea, la testuggine di Hermann, il cervone, la natrice tassellata, la vipera comune. Tra i pesci presenti nelle acque dei laghi vi sono il barbo, il cobite, la rovella, il vairone, ma anche il luccio, la tinca, la carpa, il latterino, l’anguilla, il coregone e l’esotico persico sole.

LA VISITA
Tra le tante, si segnalano due possibili visite: al lago di Martignano e alla Caldara di Manziana. Il piccolo lago di Martignano si raggiunge percorrendo Via Anguillarese e svoltando a destra per Via della Mola Vecchia, poco prima del centro del paese di Anguillara Sabazia, in prossimità di una piccola cappella. Dopo un fontanile, si svolta più avanti a sinistra imboccando una lunga salita, al termine della quale vi è un parcheggio panoramico con vista sul lago di Bracciano. Lasciata l’auto si procede a piedi per lo stradello che s’inoltra nella pineta, raggiungendo in dieci minuti la lecceta in corrispondenza di una bella tagliata nel terreno vulcanico. Si prosegue a sinistra nel bosco, ignorando una seconda deviazione a destra più avanti, fino ad un grosso leccio, superato il quale di una ventina di metri si scende rapidamente verso il lago di Martignano per un sentiero più piccolo e ripido. Per una delle numerose tracce si raggiunge la spiaggia, davanti alle acque trasparenti del lago ricche di pesci e vegetazione sommersa. Facile notarvi le orme degli animali di passaggio, dagli aironi ai cinghiali. Più avanti i chioschi di ristoro e le imbarcazioni rimessate segnalano la notevole frequentazione turistica del luogo durante i mesi estivi. Per una stradina che parte dalla fine della spiaggia non resta che riguadagnare la sommità della cinta craterica, ben evidente da uno spiazzo panoramico a metà salita (alta sull’altra sponda è la Torre di Stracciacappa), fino al cancello e al parcheggio di partenza. Per andata e ritorno (esclusa la sosta lungo le rive del lago, che è vivamente consigliata) occorre circa un’ora.
Altra escursione imperdibile è quella alla Caldara di Manziana. Si raggiunge il punto di partenza percorrendo con l’auto via della Caldara, che si prende da Via Lazio che parte da Manziana. Lasciata l’auto al parcheggio in fondo alla via si supera un cancello e si segue la strada bianca, piegando a sinistra alla prima radura. Superando la staccionata si accede all’ampia conca della Caldara, circondata sul lato meridionale da un singolare boschetto di betulle. Avvicinandosi con cautela alla depressione, su terreno spesso cedevole, qua e là è possibile osservare da vicino le numerosissime fuoriuscite di gas sulfureo, acqua e fango, fonti di colorazioni accese del terreno ma anche di fischi e brontolii che provengono dal sottosuolo. La polla principale dove l’acqua gorgoglia vistosamente si trova sul lato settentrionale, cioè quello del nostro accesso, avvolta da ciuffi di giunchi. Oltre la fascia di betulle (forse un relitto glaciale), che nei mesi autunnali offre un magnifico contrasto cromatico tra il bianco delle cortecce e il giallo oro delle foglie, il bosco di cerri è composto di esemplari anche davvero maestosi. Alcuni se ne possono osservare nell’area picnic allestita non lontano dalla Caldara, lungo la strada bianca di accesso seguendo la quale si torna al parcheggio d’ingresso chiudendo l’anello. Per la visita, per la quale è consigliato calzare un paio di stivali in gomma, è necessaria almeno un’ora.

DUE CURIOSITA’
Il castagno
Il castagno (Castanea sativa) è la specie arborea più diffusa nel parco, probabilmente introdotta all’inizio dai Romani e poi più estesamente a partire dal XVII secolo. Le sue foglie, caduche, sono facilmente riconoscibili per la lunghezza (15-25 cm), per l’apice acuto e per i margini seghettati, oltreché per il colore verde intenso. È un albero molto longevo che, in situazioni ottimali, può superare anche i 3.000 anni di età. Rispetto ad altre specie cresce molto più velocemente; quindi, è spesso utilizzato per la produzione di legname, che è molto apprezzato per la sua durata e compattezza. Inoltre, produce un frutto assai nutriente, la castagna, che veniva utilizzata per ricavarne una specie di farina molto importante per l’alimentazione delle popolazioni che nel passato abitavano il territorio del parco. Il bosco di castagno è un bosco ceduo, cioè adibito al taglio periodico. Il bosco è suddiviso in appezzamenti che vengono chiamati “tagli”. Ogni appezzamento viene tagliato a cicli di 18/20 anni, quando l’albero ha raggiunto un’altezza di circa 20 metri. Non tutti gli alberi dell’appezzamento vengono abbattuti; alcuni, circa 60 per appezzamento, vengono lasciati, sia per ricreare nuove piante attraverso i frutti che cadendo germoglieranno, sia per mantenere la funzione di tenuta del terreno e di drenaggio che gli alberi esercitano attraverso l’apparato radicale.

La volpe
La volpe (Vulpes vulpes) è un Canide di medie dimensioni, di circa 120 cm di lunghezza, di cui più di un terzo spetta alla coda, folta e dalla caratteristica punta bianca. Il colore del pelo è variabile dal castano-rossiccio al grigio-cenere, con guance e gola di color biancastro. La pelliccia, lunga e morbida, la fa sembrare più grande di quanto non sia in realtà. La testa è piccola, con muso appuntito, così come le orecchie, dritte e larghe alla base. È un classico esempio di animale “opportunista” in grado di sfruttare un gran numero di situazioni ambientali. La chiave della sopravvivenza della volpe è la sua capacità di adattamento: invece di perfezionare un particolare stile di vita, grazie alla sua intelligenza è in grado di affrontare situazioni sempre nuove, sviluppando particolari facoltà per adeguarsi alle diverse condizioni e sfruttarle al meglio. Le sue abitudini alimentari, infatti, sono estremamente variabili e flessibili: qualsiasi cibo a disposizione è accettato e appetito. Quindi, a dispetto della sua classificazione nell’ordine dei Carnivori, può essere considerata un animale onnivoro. Il suo alimento preferito è costituito da piccoli roditori ed uccelli, nonché da piccoli rettili, anfibi e invertebrati, ma gradisce anche, la frutta e le bacche, nonché qualsiasi tipo di rifiuto e persino le carogne. È un animale notturno, ma dove vive indisturbata è attiva anche di giorno. Durante il giorno si ripara sotto i cespugli, in piccoli fossi, nelle tane scavate da lei stessa o in tane di tasso e di istrice abbandonate. Ha una vita di gruppo più complessa di quanto non si possa supporre e proprio la duttilità nei rapporti sociali è un altro segreto delle sue notevoli capacità adattative. I rapporti all’interno del gruppo sono, infatti, generalmente buoni, anche se regolati da una gerarchia ben precisa: i maschi sono dominanti sulle femmine, tra le quali l’età risulta il principale fattore gerarchico.

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