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Parchi e riserve

Parco Regionale dell’Appia Antica

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Fa parte dell'itinerario storico di: La Via Appia

IL PARCO
Estensione: 3.580 ettari
Sede: Cartiera Latina, Via Appia Antica, 42 – 00179 Roma
Telefono: 06 5135316
Sito web: www.romanatura.roma.it
Accessi: Via Appia Antica, Via della Caffarella, Largo Tacchi Venturi, Via dell’Almone, Via Latina, Via Gennaro Mondaini
Nel 312 avanti Cristo il console Appio Claudio dà il suo nome al tracciato di una nuova strada che raggiungerà nel 268 a.C. la Campania e poi, nel 191 a.C., Brindisi, divenendo così la principale via di comunicazione del mondo mediterraneo. Quasi sempre rettilinea, larga oltre 4 m, così da permettere la circolazione nei due sensi, affiancata da un duplice percorso pedonale e servita da pietre miliari, l’Appia si merita ben presto l’appellativo di “Regina viarum”, la Regina delle strade.
Il territorio limitrofo ai primi 16 chilometri del tracciato dell’antica via consolare (da Porta San Sebastiano all’incrocio con la via Appia Nuova a Frattocchie), di importantissimo valore storico-archeologico e naturalistico, è stato tutelato a partire dal 1988, con l’istituzione del Parco Regionale dell’Appia Antica, che ricade all’interno dei Comuni di Roma (95%), Marino e Ciampino. A poca distanza dal Campidoglio e dal centro della città, oltre ad una elevata biodiversità in termini di specie e di habitat, essa custodisce la più importante testimonianza dell’antico paesaggio dell’agro romano, e ospita un sistema storico e archeologico ricchissimo di monumenti di epoca repubblicana e imperiale, paleocristiana, rinascimentale e barocca.

La Valle della Caffarella, il complesso archeologico delle Tombe della via Latina, l’area a ridosso della Via Tuscolana in cui si trovano i resti di sette Acquedotti romani dell’epoca repubblicana e imperiale, il Campo Barbarico e la Torre del Fiscale e le due grandi tenute agricole di Tormarancia e della Farnesiana. Un sistema territoriale con pochi paragoni al mondo sia dal punto di vista storico archeologico che da quello paesaggistico (al suo interno conserva intatti i tipici scorci della Campagna Romana resi famosi da pittori e scrittori dell’800 e del ‘900). Importante anche il suo valore naturalistico. Il Parco si inserisce, come un vero e proprio cuneo verde, fino al centro della città e grazie alla contiguità con l’area dei Castelli Romani, è di fatto un fondamentale corridoio ecologico per la fauna e la flora locale.

IL TERRITORIO
A disegnare l’aspetto attuale del territorio del Parco è stata l’attività del Vulcano Laziale, cominciata circa 600 mila anni fa, che coinvolse direttamente la zona dell‘Appia Antica con la colata di Capo Bove, a modellare gli aspetti originari del paesaggio della zona, creando quella piattaforma pianeggiante su cui fu poi tracciata la Via Appia. Oggi, dal punto vista naturalistico, il Parco dell’Appia Antica rappresenta il più importante “corridoio ecologico” della città di Roma, formando un vero e proprio “cuneo verde”, che costituisce l’elemento ambientale di collegamento tra le aree extra-urbane (Parco dei Castelli Romani) e il centro cittadino: senza soluzione di continuità, arriva, attraverso il complesso archeologico delle Terme di Caracalla-Palatino, del Foro Romano, fino in pieno Centro Storico (Circo Massimo, Isola Tiberina). La varietà di habitat presenti (ruderi e zone archeologiche, boschi, siepi, zone umide, campi coltivati, prati, ecc.) favoriscono la presenza di una ricca fauna. Qui, infatti, è presente il maggior numero di specie animali della città: oltre 100 specie di uccelli (75 nidificanti), 20 di mammiferi, 6 di anfibi, 12 di rettili e numerosi invertebrati con specie di insetti un tempo tipiche della campagna romana ed attualmente altrove scomparse o rarissime. Molte sono le aree comprese nel Parco caratterizzate da importanti valori naturalistici. L’antico Bosco Farnese, per esempio, in prossimità della via Ardeatina, è composto da roverelle e sughere; tra i monumenti del Circo di Massenzio si è insediata una flora ruderale di grande interesse, tra cui si segnala la mestolaccia lanceolata e la viperina parviflora; una folta macchia mediterranea con rosa canina, alaterno, lentisco; un sottobosco arbustivo con biancospino, berretta da prete, sanguinello, prugnolo. Nello scenario della Villa dei Quintili abbondano nei prati umidi le fioriture di orchidee spontanee come l’ofride dei fuchi, l’orchidea acquatica e l’orchidea minore. Nell’area del laghetto, ornato da cannucce di palude, è presente il ranuncolo peltato. Nell’area di Tor Marancia, di recente entrata nel Parco, e che conserva una buona naturalità, lungo il Fosso di Tor Carbone si trovano la carice maggiore e grandi alberi di olmo campestre e pioppo nero. Inoltre, la valle della Caffarella, attraversata dall’Almone, fiume sacro ai Romani e ricca di sorgenti d’acqua, presenta boschi di leccio e di roverelle con un’alternanza di campi coltivati e pascoli che ricordano il tipico paesaggio della campagna romana.

LA VISITA
Può avere inizio dalla Porta San Sebastiano, un tempo detta Porta Appia, che ospita al suo interno l’interessante Museo delle Mura. A breve distanza si trova, accanto agli avanzi di un gruppo di tombe, una copia della colonnina del I miglio con alcune iscrizioni di Vespasiano e di Nerva: l’originale si trova in Campidoglio, sulla balaustra della piazza. Superato il corso dell’antico fiume Almone, s’incontra il complesso dell’ex Cartiera Latina che ospita la sede dell’ente parco. Presso il bivio con la via Ardeatina, poco più avanti ecco la piccola chiesa del Quo Vadis. Nota anche come Santa Maria in Palmis è stata ricostruita nel XVII secolo su un edificio del IX secolo dove, secondo la tradizione, San Pietro in fuga da Roma per la persecuzione di Nerone avrebbe ricevuto in sogno il rimprovero di Gesù, e l’invito a tornare indietro. Su una lastra di marmo al centro della chiesa, l’“impronta” di due piedi sarebbe la traccia miracolosa lasciata da Cristo, ma in realtà si tratta di un ex voto pagano. Dopo una svolta a sinistra, l’Appia inizia il lungo rettilineo che la porterà fino ai Castelli. Prendendo il bivio di Via della Caffarella si può raggiungere uno dei settori più interessanti del parco dal punto di vista naturalistico, ricco di specie animali e di piante ma anche di ulteriori siti d’interesse archeologico. È il caso, ad esempio, del Sepolcro di Annia Regilla, del ninfeo di Egeria, della chiesa di Sant’Urbano, per non dire del casale rinascimentale con annessa torre medievale nella tenuta agricola della Vaccareccia. La Caffarella, che si trova al centro della vasta tenuta realizzata dalla famiglia Caffarelli, è il gioiello naturalistico del parco dell’Appia, e chi è interessato maggiormente a tali aspetti può iniziare la visita direttamente da qui, con accessi da largo Tacchi Venturi e da via dell’Almone (Fonte Egeria). Molte delle 57 specie di uccelli nidificanti (i tre quarti di quelle presenti a Roma), come ha documentato una recente ricerca – tra cui 16 inserite tra quelle di interesse conservazionistico in Europa, come la quaglia, il gruccione, il torcicollo, l’averla piccola – si trovano proprio alla Caffarella. E negli ultimi tempi altre di tutto rispetto se ne sono aggiunte, quali il tarabusino e il picchio rosso minore. Menzione a parte meritano il parrocchetto dal collare e il pappagallo monaco, due specie di pappagalli di provenienza esotica segnalate a Roma rispettivamente dagli anni Ottanta e Novanta ed oggi in forte espansione nell’intera area urbana. Volpi, donnole, ricci, conigli selvatici e lepri sono tra i mammiferi segnalati. Anche la flora del parco è qui che presenta molte delle sue piacevoli sorprese. Le orchidee, ad esempio: alla Caffarella sono presenti tra le altre l’orchidea cimicina, l’orchidea farfalla, l’orchidea delle api. Più in generale, sono circa cinquecento le specie floristiche censite nel parco, tra le circa 1.300 censite nell’intero territorio urbano. Tra gli ambienti del parco, le piccole zone umide sono l’habitat d’elezione di anfibi quali la rana verde e il rospo smeraldino, il tritone punteggiato e la raganella, quest’ultima segnalata nel parco degli Acquedotti. Di pesci quali lo spinarello e la rovella esistono segnalazioni recenti certe a Tor Marancia, come pure del ghiozzo di ruscello. Presenze di notevole interesse naturalistico, al pari di quella del granchio d’acqua dolce – raro in tutta la provincia di Roma. Tra le zone umide del Parco, proprio quella di Tor Marancia, con accesso da piazza Lante, va segnalata per la sua importanza naturalistica. È qui che, in mezzo al canneto, è stata inoltre segnalata una delle prime nidificazioni accertate a Roma del tarabusino, un piccolo ardeide dal comportamento assai sospettoso e prudente. Tornati sulla consolare, entrando nelle catacombe di San Callisto si può ancora avere il privilegio – migliaia di anni dopo – di visitare il più importante sepolcreto cristiano di Roma, che accolse in seguito molte sepolture di martiri e papi. Altre catacombe sono quelle ebraiche di Vigna Rondanini, dopo il bivio con l’Appia Pignatelli, e poi ancora le catacombe di San Sebastiano, adiacenti all’omonima basilica. Circa duecento metri più avanti, dietro il mausoleo noto come la Tomba di Romolo si apre il grande Circo di Massenzio. La tomba, che contiene i resti del figlio dell’imperatore Massenzio morto nel 309, è circondata da un grandioso quadriportico. Quanto al circo, lungo 250 metri e largo 92, ospitava corse di cavalli e carri e poteva ospitare sulle sue gradinate più di diecimila spettatori. Continuando lungo la Via Appia Antica, dopo una breve salita ecco la celebre Tomba di Cecilia Metella, a cilindro, rivestita di travertino e coronata da un fregio marmoreo in rilievo (i merli risalgono però all’età medievale, quando la tomba fu trasformata in torre). È il più noto mausoleo dell’Appia, ed anche quello meglio conservato. Contiene i resti della figlia del console Quinto Cecilio Metello Cretico, nonché moglie di Marco Licinio Crasso, figlio del triumviro collega di Cesare e Pompeo. Nel piano sotterraneo della tomba, al suo interno, è visibile una spettacolare colata lavica datata a 260.000 anni fa. Dopo il bivio con via Cecilia Metella ecco il rudere della Torre di Capo Bove, anch’esso ridotto al solo nucleo di calcestruzzo. Quindi, passato il casale Torlonia, la via non è più recintata ai margini e i sepolcri, fiancheggiati da cipressi e pini, possono essere più facilmente raggiunti. Numerosi resti precedono, all’interno di una proprietà privata, il grande Sepolcro di Sant’Urbano: si tratta del papa successore di Callisto, che sarebbe sepolto qui anche se l’identificazione – secondo gli archeologi – è dubbia. Segue un tratto di Appia tra i più conservati, grazie anche a ricostruzioni ottocentesche, mentre statue e rilievi sono stati sostituiti con copie per una migliore conservazione. Come in uno straordinario museo all’aperto si susseguono sul lato destro della strada la Tomba dei Licini, la Tomba Dorica e quella di Ilario Fusco, la Tomba di Tiberio Claudio Secondino e quella di Quinto Apuleio. La parte posteriore di un sepolcro a tempietto, con podio e scalinata, precede la tomba ricostruita dei Rabiri, la Tomba dei Festoni e, sul lato sinistro, una tomba quadrangolare in forma di arco quadrifronte, in laterizio. Quindi s’incontra il quadrivio con le vie Erode Attico e Tor Carbone, e quel che segue è un altro tratto spettacolare, prima di uscire dai confini del parco. Continuando ancora, ecco l’imponente Villa dei Quintili, la più vasta tra tutte quelle del suburbio romano. Apparteneva a due fratelli mandati a morire per una sospetta congiura dall’imperatore Commodo verso il 182 d.C., e comprende anche un vasto ninfeo ad emiciclo e un loggiato aggiunto in età medievale. Ma il parco dell’Appia non si limita all’antico tracciato della via. Oltre alla già ricordata Valle della Caffarella e alla Tenuta di Tor Marancia, altre testimonianze archeologiche di grande rilevanza si trovano anche nell’area della via Latina e della Valle degli Acquedotti. Quello della via Latina è uno dei complessi funerari di maggior rilievo del suburbio di Roma, ai lati di un tratto dell’antica via che collegava Roma con Capua, ancora pavimentata per un lungo tratto con l’antico basolato. Quanto alla Valle degli Acquedotti, tra i quartieri Cinecittà e Quarto Miglio, si tratta di un’area di eccezionale valore paesaggistico (oltre che archeologico) che comprende ben sei degli undici acquedotti della città antica: un sistema che conduceva in città un flusso d’acqua pari a ben 13 metri cubi al secondo. A questi si aggiunge l’acquedotto Felice, costruito in epoca rinascimentale. Gran parte dei condotti oggi non è più visibile, perché sotterranei o sovrastati da acquedotti moderni com’è il caso dell’acquedotto Felice, ma le arcate superstiti – come quelle dell’acquedotto Claudio, che attingeva dal bacino dell’Aniene – s’inseriscono tra i filari di pini e i primi campi coltivati creando scorci assolutamente unici nell’Italia dei parchi.

DUE CURIOSITA’
L’airone cinerino
L’airone cenerino (Ardea cinerea) è il più grande airone europeo (95 cm di altezza, 185 cm di apertura alare), elegante, proporzionato e imponente nell’aspetto. La colorazione è distintiva, grigiastra nelle parti superiori e bianca nelle inferiori, il capo è nero ed ornato da piume nere lunghe e strette che si prolungano sul collo. È molto prudente e diffidente; più facile da osservare all’alba o al crepuscolo, mentre, lungo le sponde delle aree umide e dei fossi del Parco, si muove con eleganza sulle lunghe zampe in cerca di pesci e insetti acquatici dove il fondale è più basso. Caccia restando fermo immobile come una statua in attesa della preda, oppure spostandosi con estrema lentezza pronto a captare il minimo movimento sottacqua. La cattura avviene protraendo il lungo collo e tuffando in acqua il capo con velocità fulminea per colpire o infilzare con il becco acuminato la preda. Si nutre prevalentemente di pesci, anfibi, crostacei e grossi insetti acquatici, ma anche di piccoli mammiferi e di rettili. Le prede piccole vengono inghiottite intere a partire dalla testa, mentre le più grosse sono portate a riva per essere smembrate e poi inghiottite a pezzi. In volo si può distinguere dagli altri aironi per l’assetto caratteristico che assume tenendo il collo ripiegato ad “S” sulle spalle e le zampe distese all’indietro.

Le orchideee selvatiche
Il nome orchidea spesso evoca, nell’immaginario collettivo, lussureggianti e lontane foreste, bellezza, mistero o strane simbologie sessuali. Non a caso una leggenda greca narra che Orchis, giovane ed impetuoso figlio di una ninfa, durante un festino del dio Bacco tentò di violentare una delle sue sacerdotesse. Tale atto sacrilego fu punito facendolo sbranare da belve feroci. Ma gli Dei si mossero a compassione e, dai resti mortali del giovane fecero nascere una graziosa pianta che presentava sotto forma di radici, ben nascoste nel terreno, le appendici maschili di cui il giovane Orchis era dotato. Le orchidee devono il loro successo evolutivo ai vari e stupefacenti meccanismi di fecondazione che sono tra i più specializzati del regno vegetale. La loro impollinazione avviene per mezzo degli insetti che vengono attirati con i mezzi più disparati, come l’offerta del dolce e profumato nettare contenuto in una parte del fiore abilmente disposta per far sì che l’insetto raccolga involontariamente il polline della pianta tentando di raggiungere il suo nettare. La diversa forma e grandezza dell’organo che contiene il nettare determina una selezione degli insetti in grado di poter arrivare al nettare. Per esempio, l’orchidea farfalla possiede uno sperone lungo e fino e solo le farfalle, grazie al loro sviluppato apparato buccale riescono a raggiungere il nettare. Oppure nelle sorprendenti Ophrys dove il labello simula, con i disegni e la pelosità, il dorso della femmina dell’insetto da attirare, che ingannato tenta un improbabile accoppiamento, raccogliendo e trasportando così il polline da una pianta all’altra. Inoltre, alcune Ophrys producono sostanze odorose simili a quelle emesse dalle femmine di insetti per attirare i maschi. Questi sono solo alcuni esempi del rapporto altamente specializzato tra insetto impollinatore e orchidea, che permette un’alta percentuale di impollinazioni e, conseguentemente, un bassissimo spreco di polline, con notevole risparmio energetico.

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