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Parchi e riserve

Riserva della Marcigliana

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Fa parte dell'itinerario storico di: La Via Nomentana e La Via Salaria

LA RISERVA
Estensione: 4.696 ettari
Sede: c/o RomaNatura, Villa Mazzanti, Via Gomenizza 81- 00195 Roma
Telefono: 06 35405350
Sito web: www.romanatura.roma.it
Accessi: Via di Tor S. Giovanni 301(ingresso principale), Via Nomentana, angolo Via della Cesarina (strada di accesso), Via Salaria, angolo Via della Marcigliana, Via della Marcigliana, angolo Via della Bufalotta (strada di accesso), Via di Settebagni (strada di accesso).
La Riserva Naturale della Marcigliana con i suoi 4.700 ettari è, per estensione, la seconda area naturale protetta del sistema gestito da RomaNatura. È situata subito fuori del Grande Raccordo Anulare nell’estremo settore nord-orientale della città ed è compresa tra la Via Salaria, la Via Nomentana e la Valle del Tevere, che delimita la riserva ad ovest e costituisce una forte componente del panorama visibile dalle alture della Marcigliana. Ha una vocazione prevalentemente agricola con il 75% della sua superficie interessato da pascoli, coltivi, fattorie e rappresenta nel suo complesso un importante corridoio ecologico che mette in comunicazione la città con le aree verdi extraurbane del settore nord-orientale. Le sue colline basse e arrotondate sono punteggiate da antichi casali, spesso costruiti su nuclei di ville romane e di torri medievali che costituiscono un continuum storico pressoché unico. Le vallate sono ricoperte a tratti da vegetazione a macchia, mentre lungo le pendici delle colline, dove è difficile dissodare e coltivare il terreno, sono presenti piccoli boschetti costituiti prevalentemente di querceto misto, in cui prevale il cerro, accompagnato in alcuni versanti dal farnetto e dall’olmo.

IL TERRITORIO
Siamo nella valle del Tevere, il cui corso pigro ed ampio ormai prossimo alla foce sfila presso i confini occidentali della riserva incrociandosi col lunghissimo rettilineo iniziale dell’autostrada A1. Ed è il reticolo idrografico del fiume coi suoi affluenti ad aver disegnato il paesaggio dell’area protetta, ricco di colline dolci, rilievi più pronunciati, vallette strette che fiancheggiano i fossi. Durante il Medioevo le alture vennero fortificate con un sistema di torri e castelli di cui restano tutt’oggi resti notevoli. Ne sono riprova la Torre San Giovanni, presso l’accesso principale della riserva, ma pure il Castello della Marcigliana e la Torre della Bufalotta. L’ambiente più diffuso sono i campi aperti, frequentati dalle pecore di razza sarda e comisana e bordati dagli uliveti dove si produce l’olio extra vergine “Sabina” DOP (a denominazione d’origine protetta). Quest’area è sempre stata profondamente legata alla coltivazione dell’olivo; il clima temperato e l’esposizione a Sud costituiscono, infatti, condizioni ideali per la loro coltivazione. La Dop “Sabina” è regolata da un severo disciplinare di produzione che fissa, con criteri rigidi, le condizioni ambientali e di coltura degli oliveti che devono essere quelle tradizionali e caratteristiche della zona, determina i criteri di raccolta e dell’estrazione dell’olio. In questi anni, grazie all’interesse e alla sensibilità crescente dei consumatori verso la genuinità dei prodotti e agli aiuti della Comunità Europea, l’olivicoltura si è ulteriormente sviluppata. La tutela dei prodotti tipici e tradizionali e della coltivazione biologica è sicuramente uno degli obiettivi primari d’ogni politica legata allo sviluppo sostenibile del territorio. Un esempio ne è l’azienda agricola della Cesarina che prende il nome dall’omonimo Casale.
Già nel 1600 le colline della Marcigliana sono state identificate come il luogo dove sorgeva Crustumerium, un’antica città Latina il cui sviluppo (IX-VI sec. a. C.) fu reso possibile da una posizione geografica estremamente favorevole: si trovava infatti su un’altura a controllo di un antico percorso viario di collegamento tra l’Etruria e la Campania. Le fonti antiche testimoniano che la città fu alleata e nemica di Roma, con alterne vicende. Alcune donne crustumine furono coinvolte nel famoso “ratto”, a seguito del quale gli abitanti della città vennero trasferiti a Roma e le loro terre distribuite ai coloni romani. La città era munita di un’imponente struttura difensiva costituita da un sistema di terrazzamento in blocchi di tufo. Il nucleo cittadino si raggiungeva attraverso una “tagliata” che, oltrepassato l’abitato, scendeva dirigendosi verso gli antichi centri di Gabii e Preneste. La storia di Crustumerium latina termina durante i primi anni della repubblica, quando cade sotto il dominio di Roma che vi istituisce la tribù Crustumina. Nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, la Soprintendenza Archeologica di Roma ha condotto alcune campagne di scavo che hanno portato alla luce una vasta necropoli che circondava la città con circa un centinaio di tombe. Sono state rinvenute sepolture ad inumazione di diverse fattezze, caratterizzate da ricchi corredi composti da ceramica vascolare d’impasto, buccheri, fibule ed armi in bronzo e ferro. I reperti sono oggi conservati al Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano. Dal cancello d’ingresso posto lungo la via della Marcigliana si possono scorgere le tettoie che coprono gli scavi, ma l’accesso al momento non è consentito. La scomparsa dell’abitato non portò all’abbandono del territorio che, in età romana fu disseminato da possedimenti agricoli incentrati su ville rustiche. I fondi sfruttavano la particolare fertilità dei suoli noti per la produzione di una speciale qualità di pere dette Crustumine, e di una varietà di olive.
Nel territorio della riserva, di rilevanza è anche la torre medievale “Tor S. Giovanni”, posta in posizione strategica su uno sperone tufaceo a controllo della riva sinistra del fosso omonimo. La torre poteva comunicare, attraverso vedette intermedie, con i più importanti luoghi fortificati della via Nomentana e Salaria. Costruita probabilmente alla metà del XIII secolo, e denominata Capitignano dalla tenuta medievale cui apparteneva, fu successivamente in possesso delle famiglie Mellini ed Astalli e, infine, nel 1564 divenne proprietà dell’Ospedale di S. Giovanni di cui assunse il nome. In origine la torre era fregiata da una merlatura guelfa, oggi sostituita da una copertura a tetto inclinato. Situato su un’altura, a lato della Via Salaria, si trova il Casale della Marcigliana, di origine medievale, il cui nome sembra trarre origine dall’antica famiglia dei Marcelli. È probabile una sua originaria funzione di castello attestata ancora nelle rappresentazioni iconografiche della cartografia del Seicento, dove compare una costruzione a torre merlata. Nel corso dei secoli XVI-XVII il complesso venne trasformato secondo le esigenze delle nobili famiglie proprietarie succedutesi, assumendo caratteristiche di villa. La struttura attualmente è costituita da un corpo maggiore, che nella parte centrale sviluppa in altezza una sorta di torre belvedere. L’edificio è collegato ad un secondo corpo di fabbrica attraverso dei muri di recinzione che determinano una corte interna. Isolato dal nucleo principale sorge un terzo fabbricato, cui è annessa la cappella. Davanti alla facciata principale si apre un ampio terrazzamento, ornato al centro da una fontana. L’ingresso al complesso è sormontato dallo stemma marmoreo della famiglia Grazioli.
L’antico casale dei Lucernari, in via di Tor San Giovanni, è l’attuale Casa del Parco, che ospita una sede decentrata dei guardiaparco, un punto informativo sul sistema delle aree naturali protette gestite da RomaNatura e un piccolo museo naturalistico con documenti della storia agricola del territorio. Nella riserva, che conserva un elevato valore naturalistico, sono state censite oltre 500 specie vegetali, tra cui alcuni ritrovamenti degni di nota, come la linaria purpurea, endemica italiana, la fienarola indurita, pianta che cresce lungo i sentieri, considerata rara nel Lazio, o il narciso tazzetta, specie “vulnerabile, inserita nelle liste rosse regionali. Ma anche diverse specie di orchidee, quali l’orchide purpurea, l’orchide farfalla e l’orchidea gialla, che impreziosiscono l’area.

LA VISITA
Dalla Casa del Parco parte un piacevole sentiero-natura che attraversa i prati e le colline della Marcigliana dove scorrono torrentelli costeggiati da vegetazione arborea a salici e pioppi ed arbustiva a cannuccia di palude e sambuco. Lungo il percorso, tra i boschetti e nelle zone a macchia mediterranea, trovano rifugio e cibo numerosi animali, fra i quali la volpe, la faina, la donnola, il tasso e l’istrice, ma si può incontrare anche la lepre italica, una specie non particolarmente frequente nella campagna romana limitrofa alla città. Sulle chiome degli alberi si può scorgere il nido della poiana, che spesso sorvola i campi della riserva alla ricerca di roditori e altre piccole prede. Nel fitto dei cespugli costruisce invece il suo nido il moscardino, un “topolino” dal colore fulvo e dalla lunga coda, che si ciba preferibilmente di noci e nocciole. Tra gli uccelli da segnalare la presenza di rapaci diurni e notturni, quali il gheppio, l’albanella reale, l’astore, il barbagianni, l’allocco e la civetta. Altre interessanti specie avvistabili sono i picchi, i gruccioni e, soprattutto, le rondini, che anno dopo anno costruiscono i nidi nei casali e nelle stalle delle numerose aziende agricole del parco. Nelle zone umide di fondovalle (fossi di San Giovanni, di Settebagni, di Valle Ornara) si possono rinvenire, oltre alla natrice dal collare, alcuni anfibi, quali la rana italica, la raganella, il tritone punteggiato e la più rara salamandrina dagli occhiali. Continuando il percorso, seguendo le indicazioni, si risale dal fondovalle e, rasentando alcuni campi e un uliveto, si ritorna al punto di partenza in circa un’ora e mezza di cammino.

DUE CURIOSITA’
La rondine
La rondine (Hirundo rustica) che giunge in primavera per ripartire alla fine dell’estate, nella riserva si può osservare mentre con volo basso e veloce sorvola i prati a caccia di insetti, catturati in volo abbassandosi improvvisamente o volteggiando con movimenti aggraziati sottolineati da brusche frenate. Le lunghe timoniere le consentono una grande agilità e ciò la rende più efficiente nella caccia in volo rispetto al rondone o al balestruccio. Da quest’ultimo si distingue per il colore rossiccio della fronte e della gola e per l’assenza del groppone bianco, nonché per le timoniere più lunghe e per le ali più appuntite. L’abbondanza di insetti volanti e la reperibilità di posti adatti alla nidificazione sono i fattori che determinano l’abbondanza delle rondini nell’area: necessaria è infatti la presenza di cascinali, portici e stalle, dove sia possibile posizionare il nido, riparato e al coperto. Importante è anche la presenza di posatoi, quali rami spogli, cavi sospesi e cornicioni dei tetti, dove le rondini possono riposare o lisciarsi le penne al sole. Si ciba di insetti volanti, soprattutto mosche e coleotteri, che preda con veloci inseguimenti aerei. Quando ha i piccoli al nido, cattura più insetti per volta e li comprime in una pallottolina all’interno della gola per poi portarli ai pulcini.

Il cerro
Albero dominante nei boschetti della riserva, il cerro (Quercus cerris), può raggiungere i 40 metri di altezza sviluppando un diametro che può sfiorare i due metri. Con la sua corteccia scura ed estremamente solcata, le foglie irregolari ed alterne profondamente incise, la chioma il più delle volte allungata e soprattutto grazie alle sue ghiande, ricoperte dalla loro caratteristica cupola con lunghe squame arricciate, risulta di facile riconoscimento. Ha foglie ruvide e pelose, che, anche se caduche, in autunno, non cadono dai rami, ma vi rimangono fino alla primavera successiva. Ricco di tannino usato per decotti dalle molteplici virtù, il cerro, vista la sua rapida crescita, viene abbondantemente coltivato in vivaistica forestale per essere impiegato nei rimboscamenti di ambienti mediterranei. Il suo legno di colore roseo dalle tonalità violacee viene utilizzato per lo più come legna da ardere, data l’ottima combustibilità, per la costruzione di doghe per botti e di ruote per carri.

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