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Parchi e riserve

Parco Naturale Regionale di Veio

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Fa parte dell'itinerario storico di: La Via Cassia

IL PARCO
Estensione: 15.000 ettari
Sede: Via Castelnuovo di Porto, 14 – 00060 Sacrofano (RM)
Telefono: 06 9042774
Sito web: www.parcodiveio.it
Accessi: Campagnano di Roma: centro storico (sentiero 207); Castelnuovo di Porto: Via Solfatare, Via Pian Braccone, Stazione (sentiero 210); Formello: centro storico (sentiero 207 per Valli del Sorbo); Magliano Romano: Mola di Magliano (sentiero 211); Morlupo: Via Istria e Dalmazia, Largo Papa Giovanni Paolo II; Riano: Via Monte Lungo, Via Pian di Lalla (Colle delle Rose); Roma: Isola Farnese (Cascate della Mola), diversi punti lungo le Vie Cassia e Flaminia; Sacrofano: Via Miseria, Via Monte Calcaro (sentiero 209B), Via di Monte Sughero
Il Parco Naturale Regionale di Velo, con i suoi 15.000 ettari, è il quarto parco per estensione del Lazio. Si sviluppa a nord di Roma tra la Via Flaminia e la Via Cassia e comprende il cosiddetto Agro Veientano, in un territorio dove le componenti naturalistiche e storico-culturali si fondono in un paesaggio di particolare valore. Il territorio del parco ricade in nove comuni: Campagnano di Roma, Castelnuovo di Porto, Formello, Magliano Romano, Mazzano Romano, Morlupo, Riano, Sacrofano ed il XV Municipio del Comune di Roma; quest’ultimo con una superficie di circa 6.000 ettari ricopre quasi la metà dell’area protetta. Il parco per la sua collocazione geografica e per la contiguità con il Parco di Bracciano-Martignano a Nord, con la Valle del Tevere ad Est e con la Riserva Naturale dell’Insugherata a Sud, rappresenta un importantissimo corridoio ecologico a tutela della biodiversità, situato nel settore settentrionale della città di Roma. Da segnalare il Sito di Importanza Comunitaria (SIC) “Valle del Crèmera – Zona del Sorbo” istituito al suo interno.

IL TERRITORIO
Il Parco di Veio, pur avendo subito in passato un relativo processo di urbanizzazione, risulta nel complesso ancora abbastanza integro ed ha quindi conservato un ingente valore paesaggistico. Inoltre, al suo interno, 1.200 ettari di terreno, comprendenti boschi e pascoli, sono destinati ad uso civico: un istituto di origine medievale che ha consentito di mantenere pubblica la proprietà di alcune aree utilizzate dalle comunità locali in modo collettivo ed oggi amministrate dalle Università Agrarie dei comuni del parco. Questa destinazione d’uso ne ha in parte preservato l’integrità ambientale e paesaggistica. Oggi l’area è caratterizzata in prevalenza da altopiani di tufo utilizzati a scopo agro-pastorale e incisi dall’azione delle acque che hanno originato nel tempo strette vallate, le forre, scavate dall’erosione e ricoperte da boschi, tutti elementi che caratterizzano l’Etruria Meridionale. Il parco si estende in una porzione del territorio adiacente alla bassa Valle del Tevere ed è per questo che sono presenti numerosi corsi d’acqua che, formando un ampio reticolo di fossi, attraversano tutto il distretto da nord-ovest verso sud-est e confluiscono nel Tevere stesso. Ne sono un esempio il torrente Crèmera-Valchetta, sulle rive del quale era sorta la città etrusca di Velo, il fosso della Crescenza e quello della Torraccia. Inoltre, la ricchezza in questa zona vulcanica di acque di falda, ha dato origine a moltissime sorgenti, alcune delle quali caratterizzate da acque minerali fredde e termominerali: quali le acque ferrose nei pressi di Ponte Sodo e dei Bagni della Regina, in prossimità del sito archeologico di Veio e quelle di S. Antonino, dell’Acqua Ferruginosa e del fosso dell’Acqua Forte a Castelnuovo di Porto. Indubbia è poi l’influenza che hanno avuto sul paesaggio le opere realizzate dalla civiltà etrusca e da quella romana, testimoniate dalla presenza di numerose emergenze archeologiche. Assai diffusi sono, infatti, i cunicoli di epoca etrusca scavati a scopo agricolo per regimentare le acque. Altrettanto evidenti sono i tracciati stradali realizzati in buona parte del territorio, basti pensare che il parco si estende fra le consolari Cassia e Flaminia, due importanti vie di comunicazione di origine romana. Di grande interesse è poi la presenza di necropoli ed insediamenti abitativi, come il sito dell’antica città etrusca di Veio e la villa romana di Livia a Prima Porta. Ancora oggi le aree archeologiche rivestono notevole importanza non solo culturale ma anche ambientale e paesaggistica, poiché con la loro presenza hanno contribuito a preservare piccoli nuclei di verde inseriti in ambiti notevolmente urbanizzati. Il parco, per quanto riguarda gli aspetti vegetazionali, è caratterizzato da estesi pianori coltivati o destinati all’allevamento estensivo, spesso interrotti dalle forre, dove permangono i boschi, un tempo molto più estesi. Questi spazi ancora naturali sono costituiti in prevalenza da bosco misto di caducifoglie ma, dove emergono affioramenti tufacei, possiamo trovare anche il leccio sempreverde. Le aree boscate si trovano principalmente nel settore settentrionale del parco, fra i rilievi vulcanici esterni al cratere di Sacrofano come la Macchia di Roncigliano, ad ovest di Campagnano, Monte Musino, Monte Broccolero e Monte Bruciato, tra Sacrofano e Formello, e le Valli del Sorbo presso Formello. Le specie più diffuse sono il cerro, la roverella, la farnia, l’olmo campestre, l’orniello, il bagolaro, l’acero campestre, il nocciolo e il carpino bianco. Le macchie, che si insediano sui versanti più ripidi e ai margini delle aree boscate, rivestono una particolare importanza, anche dal punto di vista ecologico in quanto offrono cibo e riparo per numerosi animali. Tra le specie arbustive più frequenti, si segnala la ginestra, di notevole bellezza durante la fioritura e facilmente riconoscibile per il colore giallo brillante dei fiori, il pungitopo, l’agrifoglio, il lentisco, la fillirea, l’erica arborea ed il corbezzolo. Infine, va ricordato il gruppo degli endemismi che, anche se non particolarmente ricco, include la linajola purpurea, il fiordaliso cicalino e lo zafferano odoroso, specie particolarmente rara, presente solo in alcune aree dell’Italia centrale. Anche se nel Parco gli ambienti naturali (aree boscate, forre, cespuglieti) e seminaturali (pascoli) sono spesso interrotti da aree densamente abitate, il patrimonio faunistico può annoverare ancora una fauna ricca e diversificata, con specie importanti per la conservazione. Tra i mammiferi predatori, martore, donnole, volpi e tassi sono relativamente comuni, mentre tra gli ungulati, oltre al cinghiale ampiamente distribuito nel territorio, è presente anche il daino, un cervide tipico dell’ambiente mediterraneo, ma che ben si adatta anche ad aree di prateria aperta e radure. Al crepuscolo non è difficile incontrare il coniglio selvatico, mentre si aggira nei prati pascolo. Tra gli insettivori si ricorda la presenza del riccio e della talpa, mentre i tra i roditori si possono incontrare l’istrice, dai lunghi aculei striati, il moscardino, frequente negli arbusteti e nelle zone ai margini del bosco, ma anche diverse specie di topi e arvicole. Tra gli uccelli si rilevano numerose specie stanziali e migratorie. Fino ad oggi è stata segnalata la presenza di 18 specie nidificanti a priorità di conservazione secondo le direttive della Comunità Europea, tra le quali si ricordano il falco pecchiaiolo nidificante nella zona settentrionale del parco, il coloratissimo gruccione, che scava la sua tana in pareti o terreni friabili come quelle prossime al Tevere, il picchio verde che vive diffusamente nei boschi di querce, l’averla piccola e l’averla capirossa, legate alle zone pascolate con cespugli sparsi. Di interesse sono le diverse specie di rapaci diurni, come il nibbio bruno, il falco pellegrino e il gheppio, mentre al crepuscolo l’area diventa il territorio di caccia di rapaci notturni come la civetta, il barbagianni, l’assiolo, il gufo comune e l’allocco. Particolarmente numerosi sono i rettili, tra cui la testuggine di Hermann, il biacco, il saettone, il cervone, la natrice dal collare, la natrice tassellata e anche la vipera. Nelle zone umide vivono, infine, alcuni anfibi come la rana appenninica, la rana verde, la rana agile, il tritone crestato, il tritone punteggiato ed una specie di particolare interesse conservazionistico, la salamandrina dagli occhiali. Legati all’acqua solo nel periodo riproduttivo sono invece il rospo comune e il rospo smeraldino.

LA VISITA
Si propongono due itinerari particolarmente significativi. Il primo conduce alla scoperta a piedi del santuario del Portonaccio e del Ponte Sodo, senz’altro tra le massime emergenze culturali del parco, ma anche sintesi esemplari dello stretto connubio tra vestigia archeologiche e ambiente naturale. Partendo dalla cascata del fosso della Mola si accede all’area archeologica del Portonaccio, preceduta da uno splendido tratto di selciato romano e comprendente le rovine del tempio di Apollo, dove a inizio Novecento venne rinvenuta la famosa statua in terracotta del dio oggi esposta al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma. Finita la visita, si sale al pianoro sovrastante e, costeggiando i campi coltivati, si scende al torrente Crèmera, costeggiandolo fino ad un facile guado. Percorrendo dall’altra parte la sponda si arriva fino al bosco, laddove una rampa attrezzata con gradini e mancorrente in legno conduce nuovamente al letto del fosso dove appare lo spettacolo del Ponte Sodo. Si tratta in realtà di una galleria lunga oltre 70 metri scavata dagli etruschi, facilmente percorribile calzando un paio di stivali. Dopo la visita si torna sui propri passi fino al bivio incontrato in precedenza, dove, invece si svoltare a sinistra, si prosegue per la stradina che costeggia alcune strutture murarie e un bel tratto di selciato, fino a raggiungere un’area picnic tra i campi sotto a una monumentale quercia e quindi si piega a sinistra tornando al bivio iniziale, da cui si scende rapidamente fino al parcheggio. L’intero percorso richiede circa due ore di cammino. Il secondo itinerario conduce alle Valli del Sorbo, vasta area dove sorge l’omonimo santuario campestre tra pascoli e piccoli lembi di bosco a metà strada fra Formello e Campagnano lungo il torrente Crèmera. Vasta più di cento ettari, l’area è stata inclusa in un sito d’importanza comunitaria (SIC) della Rete Natura 2000 per la sua importanza naturalistica. Lasciata l’auto nell’ampio parcheggio segnalato lungo la stradina che scende al Sorbo da Formello, si prosegue a piedi fino al termine della discesa per imboccare un sentiero a sinistra (segni bianchi e rossi) che taglia i prati fino al torrente, che si supera su un ponticello di legno. Dall’altra parte, sempre seguendo i segni indicativi del percorso, si sale nel bosco di cerri fino ad un bivio, dove si va a sinistra per una traccia divenuta più piccola. Usciti di nuovo all’aperto, si costeggia il torrente in un tratto magnifico fino ad alcuni monumentali pioppi, oltre i quali è la bella cascata della Mola di Formello. È possibile scendere con cautela alla base del salto ma per averne una visione ravvicinata occorre guadare in alcuni punti il corso d’acqua. Fin qui si impiega circa un’ora. Il ritorno è per la via dell’andata.

DUE CURIOSITA’
La testuggine di Hermann
Tra i rettili presenti nel parco una menzione particolare merita la testuggine di Hermann (Testudo hermanni), particolarmente protetta dalla Comunità Europea, diffusa nella nostra penisola lungo la costa tirrenica e nelle isole. Questa specie con abitudini terricole è facilmente riconoscibile per la corazza a placche colorate. La lunghezza massima è di 30 cm, comprensiva di 6 cm spettanti alla coda, mentre il peso può raggiungere anche i 2 kg. È una specie diurna, vegetariana e molto longeva. Il letargo invernale è legato alla temperatura ambientale e di regola inizia in autunno. Un tempo era abbastanza comune, mentre oggi è rarissima e in serio pericolo di estinzione, in quanto a seguito di prelievi a scopo amatoriale e della compromissione degli habitat, risulta ormai limitata a piccole e frammentate popolazioni che vivono sui pendii coperti dalla macchia mediterranea rimasti tra le ampie aree coltivate nell’area di Isola Farnese. Oltre alla frammentazione delle popolazioni, che ha determinato una seria difficoltà d’incontro tra i maschi e le femmine, un serio fattore di minaccia è rappresentato dagli incendi che causano la morte di questa specie nota per la sua lentezza.

L’olmo campestre
L’olmo campestre (Ulmus minor) è distribuito in gran parte dell’Europa centro-meridionale, in Asia minore e in Africa settentrionale. In Italia è presente in tutto il territorio, non spingendosi oltre i 5-600 metri di altitudine. È longevo e può raggiungere i 30 metri di altezza. Presenta foglie a base asimmetrica con margine seghettato, fiori piccoli e giallastri. I frutti bianchi sono detti “samare”, hanno un solo seme al centro e presentano un’espansione alare per essere trasportati dal vento. Il legno del tronco, di colore brunastro, è molto duro e resistente, per cui viene utilizzato per articoli sportivi, sedie e pavimentazioni. Da qualche decennio è colpito da una devastante malattia, la grafiosi dell’olmo, causata da un fungo microscopico, che sta provocando la morte di milioni di esemplari in tutto il suo areale di distribuzione. È un albero amato fin dai tempi antichi: i Greci pensavano che le ninfe piantassero olmi in onore degli eroi caduti, mentre i Romani lo dedicarono a Mercurio, Dio dei mercanti e dei viaggiatori. Nel passato foglie e corteccia venivano utilizzati per scopi medicinali.

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